LA NATURA DELL’UOMO E’
RAPPORTO CON L’INFINITO
BENEDETTO XVI: MESSAGGIO AL XXXIII MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI (RIMINI, 19-25
AGOSTO 2012), 19.08.2012
(…) L’uomo è una creatura di Dio. Oggi questa
parola – creatura – sembra quasi passata di moda: si preferisce pensare
all’uomo come ad un essere compiuto in se stesso e artefice assoluto del
proprio destino. La considerazione dell’uomo come creatura appare «scomoda»
poiché implica un riferimento essenziale a qualcosa d’altro o meglio, a Qualcun
altro – non gestibile dall’uomo – che entra a definire in modo essenziale la
sua identità; un’identità relazionale, il cui primo dato è la dipendenza
originaria e ontologica da Colui che ci ha voluti e ci ha creati. Eppure questa dipendenza, da cui l’uomo moderno e
contemporaneo tenta di affrancarsi, non solo non nasconde o diminuisce, ma
rivela in modo luminoso la grandezza e la dignità suprema dell’uomo, chiamato
alla vita per entrare in rapporto con la Vita stessa, con Dio. Dire che «la
natura dell’uomo è rapporto con l’infinito» significa allora dire che ogni
persona è stata creata perché possa entrare in dialogo con Dio, con
l’Infinito.(…) E il peccato originale ha la sua radice ultima proprio nel
sottrarsi dei nostri progenitori a questo rapporto costitutivo, nel voler
mettersi al posto di Dio, nel credere di poter fare senza di Lui (…)
E
questa tensione è incancellabile nel cuore dell’uomo: anche quando si rifiuta o
si nega Dio, non scompare la sete di infinito che abita l’uomo. Inizia invece
una ricerca affannosa e sterile, di «falsi infiniti» che possano soddisfare
almeno per un momento. La sete dell’anima e l’anelito della carne di cui parla
il Salmista non si possono eliminare, così l’uomo, senza saperlo, si protende
alla ricerca dell’Infinito, ma in direzioni sbagliate: nella droga, in una
sessualità vissuta in modo disordinato, nelle tecnologie totalizzanti, nel
successo ad ogni costo, persino in forme ingannatrici di religiosità. Anche le
cose buone, che Dio ha creato come strade che conducono a Lui, non di rado
corrono il rischio di essere assolutizzate e divenire così idoli che si
sostituiscono al Creatore.
Riconoscere di essere fatti per l’infinito significa percorrere un cammino di purificazione da quelli che abbiamo chiamato «falsi infiniti», un cammino di conversione del cuore e della mente. Occorre sradicare tutte le false promesse di infinito che seducono l’uomo e lo rendono schiavo. Per ritrovare veramente se stesso e la propria identità, per vivere all’altezza del proprio essere, l’uomo deve tornare a riconoscersi creatura, dipendente da Dio. (…) Al riconoscimento di questa dipendenza – che nel profondo è la gioiosa scoperta di essere figli di Dio – è legata la possibilità di una vita veramente libera e piena
A
questo punto però sorge una domanda. Non è forse strutturalmente impossibile
all’uomo vivere all’altezza della propria natura? E non è forse una condanna
questo anelito verso l’infinito che egli avverte senza mai poterlo soddisfare
totalmente? Questo interrogativo ci porta direttamente al cuore del
cristianesimo. L’Infinito stesso, infatti, per farsi risposta che l’uomo possa
sperimentare, ha assunto una forma finita. Dall’Incarnazione, dal momento in
cui in Verbo si è fatto carne, è cancellata l’incolmabile distanza tra finito e
infinito: il Dio eterno e infinito ha lasciato il suo Cielo ed è entrato nel
tempo, si è immerso nella finitezza umana.